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sabato 28 novembre 2015

Una vita su misura

Ci vorrebbe il sarto e neanche basterebbe. Saremmo capaci di trovarne uno di dubbie abilità e scarso zelo.
Siamo messi così. Egoisti o individualisti, ditelo un po’ come vi pare, fino alla più pericolosa e inspiegabile stupidità. Non esiste un mondo vivibile se non facciamo di onesta e buona volontà una ricchezza.
Mi irrita perfino l’idea che qualcuno mi bolli di ingenuità o banalità.
Almeno per tornaconto vogliamo renderci conto che infangare la vita non farà che farci vivere nel fango? Ecco, tutto qui. Insomma se proprio la sensibilità non è nel vostro dna fatene una questione pratica.
Non possiamo continuare a pensare che quello che avviene fuori dalla nostra porta di casa o dalla nostra zona di comfort o dal nostro spazio di interesse o piacere non ci spezzi prima o poi le gambe o ci cambi i connotati.
Non possiamo crederci superiori ad altri.
Non dobbiamo insultare la grandezza del creato.
E, francamente, neanche svilire l’umanità a un’accozzaglia di esseri mediocri cocciuti maligni feroci.
La vogliamo calda e fredda, a gusto personale. Senza un briciolo, e dico davvero un briciolo, di riflessione, apertura, lungimiranza, senso di giustizia. Tutto per una brama così ridicola e insensata da far accapponare la pelle.

Ma vaffanculo, verrebbe proprio spontaneo, all’imbecillità che ci ha reso gregge senza midollo e senza cuore.

venerdì 20 novembre 2015

Cari (in)fedeli,

vi scrivo perché vi resti una traccia, uno spunto, magari una speranza.
Che voi crediate in Dio, Allah, Jahvè (mi accontento di citare questi tre) o non riconosciate alcun Supremo, siete uomini e donne, creature di questa terra come me. Minuscole schegge di vita nello spazio infinito e nel tempo eterno ma pur sempre punti di luce.
Il giorno, la notte, la nascita e la morte, fanno parte di un disegno ben più grande di noi. Ma noi ci siamo dentro, almeno per un rapido passaggio. Quello che sempre basta a cogliere tanto la meraviglia quanto l’orrore.
Siamo qui a soffrire, siamo qui ad amare.
Non ci è dato sapere quale sia davvero il senso di tutto e tutti ma pensiamo che il bene più prezioso che abbiamo sia l’intelletto. Paradossalmente proprio quello che tradiamo, maltrattiamo, umiliamo. Già, che sia anima o raziocinio, lo ostentiamo con vanto ma stentiamo a rispettarlo e a coglierne il respiro.
Forse è proprio l’orgoglio del pensiero ad averci accecato.
Beate quelle che chiamiamo bestie, mirabilmente in armonia con la grandezza e l’essenza della natura. Loro non hanno la nostra stupidità. Conoscono l’incertezza, il limite, la prudenza, la pazienza. L’istinto le tiene serenamente alla larga dalla smania di possedere le chiavi del mondo.
Mica è una semplificazione, questa. Al contrario. L’illusione prepotente ci ha reso miserabili, fallaci, superficiali. Non c’è crudeltà che possa davvero stupirci, l’abbiamo messa in conto come inevitabile o addirittura desiderabile. Troppo lontani da quel fiuto animale che terrebbe a bada lo sproposito.
Più di qualsiasi anelito, infedeli e fedeli dovrebbero avere nel sangue l’impulso alla felicità. Parola enorme, non esiste, ripetiamo in coro, fedeli e infedeli finalmente concordi. Forse è vero ma l’impulso no, quello può esistere eccome. La ricerca, il cammino verso. E allora il male del nostro intelletto è solo ostinarsi all’egoismo e all’idiozia. Fare finta che gli sprazzi di felicità possibile siano nel benessere individuale, in qualche fantomatico trionfo, nell’idea di essere sopra gli altri. E così non facciamo che condannarci, gli uni con gli altri e tutti insieme, all’infelicità perenne.
Calpestiamo la nostra sensibilità e la nostra bellezza. Invece di gioire della nostra potenza di uomini e donne inseguiamo una sorta di miraggio.
E’ una menzogna la difesa inconscia. Noi difendiamo consciamente la nostra paura di non essere unici. Che pena! Magari combattiamo per essere ‘migliori’ quando senza armi siamo unici. Magari nutriamo odio avvelenandoci fino a insultare la nostra stessa linfa quando affetto e simpatia ci riempirebbero di risorse ed energie. Smettiamo di ridere, di imparare, di camminare, di sognare. In nome di qualcuno o di nessuno. Ma di sicuro in mano a chi dell’intelletto ha fatto l’uso più bieco e spietato: una ricchezza senza alcun valore morale.
Non c’è Dio, Allah, Jahvè che possa competere con il Denaro. A meno che fedeli e infedeli rinsaviscano, si ricongiungano alla terra e ritrovino la loro vera, straordinaria ricchezza.

(Il post non è ispirato al libro di Antonioli, ne riporto l'immagine di copertina solo perché ne serbo un ricordo piacevole e nitido nonostante siano trascorsi anni dalla lettura)

venerdì 13 novembre 2015

L'euforia del corpo

Questione di spirito. Che alla fine la mente lo governa, il corpo. E d’accordo. Ma avete mai fatto caso a come gira la ruota? E’ il circolo virtuoso. Il corpo si alleggerisce e prende un altro respiro, restituisce alla testa l’impulso e l’energia si diffonde nell’aria.
Cosa poi inverta il passo e faccia diventare vizioso il circolo è un fatto, un attimo, una scheggia. La ferita duole e si mette in moto il perverso percorso negativo.
Insomma è su questo punto che in qualche modo, a forza di pensare, sperare, provare, bisogna inventarsi la controleva. Se è impossibile impedire il down, bisogna solo lavorare sulle motivazioni per l’up. Già, le motivazioni.
In effetti credo poi che, parlando di circuiti, entri in gioco l’attivazione. Fino a quando c’è una, davvero anche una sola, spinta all’euforia, abbiamo l’interruttore a portata d’occhi e mani.
Mi accorgo che la memoria dell’euforia, infatti, è un propulsore eccezionale…
Mica è una formula magica, lo so. Però è uno stimolo potentissimo!